Cari lettori, durante una mia esperienza in una scuola media, un alunno di 13 anni, mi chiede : “Dottoressa, come mai quando prendo un buon voto, mamma non mi dice mai bravo, ma sempre “Però potevi prendere di più”, oppure “L’altro bambino ha preso un voto migliore”.? Abbiamo provato a capirlo insieme e mi risponde: “Lo so che mi vuole stimolare a fare di più, ma deve dirmi anche qualche volta che quello che faccio vada bene!”. Proviamo a metterci nei suoi panni: Come può sentirsi un bambino che non viene riconosciuto e visto nelle sue azioni, sentimenti, e pensieri? Noi come ci saremmo sentiti?
Le cure parentali
Lo scopo principale delle cure parentali è preparare i figli a diventare adulti indipendenti, cioè in grado di garantirsi la sopravvivenza. Un neonato è in una condizione di dipendenza totale, ma se l’educazione ha successo, da giovane si evolverà in un essere umano responsabile e rispettoso di sé, in grado di affrontare con competenza ed entusiasmo le sfide della vita. Sviluppare la propria individualità è il primo compito di ogni essere umano, ma anche la prima sfida, perché non c’è garanzia di successo. Questo processo può interrompersi, bloccarsi o prendere la direzione sbagliata a qualunque stadio, dando luogo a questo o a quel livello di maturità mentale o emotiva. L’efficacia delle cure parentali consiste nel dare al bambino in primo luogo delle radici (per crescere) e in secondo luogo le ali (per volare via): la sicurezza di una base solida, e abbastanza fiducia per staccarsene. La qualità del rapporto tra il bambino e gli adulti importanti della sua vita ha un’alta influenza sullo sviluppo dell’autostima del bambino.
Ma cos’è l’autostima?
L’autostima è il valore che attribuiamo a noi stessi, come ci percepiamo, quanto ci amiamo e quanto siamo capaci di ottenere o fare qualcosa:
- avere un atteggiamento positivo
- sentirsi soddisfatti di se stessi il più delle volte
- avere una visione sana di se stessi
L’adolescenza è quella fase della vita nella quale i protagonisti cercano di trovare il loro posto nel mondo e di capire chi sono. È per questo che l’autostima ha un ruolo fondamentale: cavalcandola, i ragazzi potranno affrontare le diverse sfide che implica questa fase, che non sono poche e che hanno tutte una certa importanza.
Consigli utili per alimentare l’autostima nei bambini
L’accettazione di se stessi si trasmette non mostrandosi per forza d’accordo (non è sempre possibile), ma ascoltando e riconoscendo i loro pensieri e sentimenti, evitando castighi, discussioni, insulti e la psicologia spicciola. Uno degli atteggiamenti più utili per favorire il sano sviluppo di un figlio è fargli sentire che la sua natura, il suo temperamento, i suoi interessi e aspirazioni sono accettati – che siano o meno condivisi. Non è realistico pensare che un genitore debba apprezzare qualunque atto di espressione di sé dei propri figli. Ma l’accettazione non deve richiedere apprezzamento né accordi di fondo. Un genitore può essere atletico, e il figlio no. Un genitore può avere genio artistico, e il figlio no. Un genitore può avere per natura un ritmo veloce, e il figlio caotico. Un genitore può essere estroverso, e il figlio introverso. L’uno può essere competitivo e l’altro no. O viceversa. Solo l’accettazione di tali differenze può far crescere l’autostima.
Ciò implica la visibilità psicologica. Essere visto, per un bambino, ripeto, non significa avere sempre l’approvazione incondizionata da parte di un genitore, bensì ricevere risposte coerenti con quanto comunicato. Se un bambino dice o fa qualcosa, e il genitore reagisce in un modo che egli sente coerente con il suo comportamento (esprimere gioia e sorridere, esprimere tristezza e consolare, compiere un’azione di cui si è orgogliosi e complimentarsi), allora si sente visibile. Al contrario, se si fa o dice qualcosa a cui si reagisce in modo incongruo rispetto al comportamento (esprimere gioia e ricevere noia, esprimere tristezza e ricevere accuse di finzione, compiere un’azione di cui si è orgogliosi e ricevere critiche), allora ci si sente invisibili, non riconosciuti in quanto persone pensanti e con dei sentimenti. I bambini hanno un desiderio naturale di essere visti, sentiti e capiti, e anche di reazioni appropriate. Questo bisogno, infatti, è fondamentale ed urgente nella personalità in formazione. Ecco perché dopo aver compiuto una qualunque azione, il bambino tende a guardare i genitori per vederne la reazione: se percepisce la propria eccitazione come positiva, ma viene rimproverato o punito da mamma e papà, vive una esperienza di non visibilità. La visibilità non deve essere confusa con la lode. Guardare un bambino avere difficoltà con un compito a casa e dirgli “Mi sembra che tu abbia difficoltà in matematica”, oppure “Mi sembri in crisi, vuoi parlarne” non è lodarlo, ma implicano la sensazione di essere visto e capito nella sua difficoltà. Quando si mostra piacere o apprezzamento per le domande, le osservazioni o la sollecitudine di un bambino, quando riconosciamo positivamente e con rispetto i suoi sforzi espressivi, ne incoraggiamo l’autoaffermazione. Se sorprendiamo un bambino fare qualcosa di giusto, manifestiamogli la nostra contentezza. Il bambino trarrà da solo le sue conclusioni. Le critiche devono essere rivolte sempre al comportamento del bambino e mai alla persona. Bisogna descrivere il comportamento, descrivere cosa si prova in merito, e descrivere cosa vorresti che il bambino facesse: “Io sono dispiaciuta perché hai fatto cadere i colori. Vorrei che tu li raccogliessi.” Dire: “sei un incapace e un imbranato”, si và a colpire la persona e quindi, la sua autostima. Aggredendo la sua autostima non gli si fa mai del bene. Mettere in dubbio il suo valore, l’intelligenza, la moralità, il carattere o la psicologia di un bambino, non gli ispiriamo comportamenti migliori.
Se riusciamo a rimproverarli senza però violare la loro dignità, se riusciamo a rispettare la loro autostima anche quando siamo arrabbiati, abbiamo imparato a gestire uno degli aspetti più importanti e difficili dell’educazione.
Dott.ssa Dominique D’Ambrosi – Psicologa Psicoterapeuta