L’età d’insorgenza dei disturbi alimentari al giorno d’oggi si sta abbassando molto e l’esordio può presentarsi già nella fascia d’età che va da 0 a 3 anni. A seconda della gravità e dal protrarsi delle anomalie si può parlare di disagio o di disturbo alimentare.
Il disagio alimentare è’ la manifestazione meno grave. Un bambino ha un disagio alimentare quando ha un manifestazione particolare legata all’alimentazione (bizzarrie alimentari, inappetenza, selettività alimentare, per esempio mangia solo cibi di un certo colore, rigurgito frequente). Il suo comportamento non è accompagnato da altri malesseri (per esempio disturbi di sonno, di evacuazione, del gioco).
I disturbi alimentari sono invece quadri patologici più seri che vanno dal rifiuto totale del cibo all’iperfagia (il bambino mangia troppo). Si protraggono maggiormente nel tempo e spesso si evidenziano con cambiamenti anche legati al gioco, al sonno, alla scuola, allo studio, alla relazione con gli altri.
Io in questo articolo mi soffermerò sul disagio alimentare, disagio riscontrato negli ultimi mesi nella mia pratica clinica e che mi ha portato a sceglierlo come argomento da trattare.
Il cibo come comunicatore
La prima esperienza di soddisfacimento di un bisogno del bambino, la fame, avviene all’interno di una relazione con la madre, o un adulto di riferimento, che prendendosi cura di lui offre il proprio amore, un amore irripetibile e unico. Il cibo e la funzione nutritiva, fin dall’inizio si intersecano, si intrecciano ad una dimensione affettiva e l’atto nutritivo costituisce il veicolo non solo di sostanze proteiche, ma anche di messaggi che riguardano la dimensione relazionale ed emotiva. Da subito il cibo è comunicazione all’interno di una relazione, senza la quale non potrebbe accadere nulla; infatti senza un “accudimento” non ci può essere “attaccamento”, e senza questa dipendenza non potrà mai esserci una vera autonomia. Questi messaggi emotivi costituiscono la prima forma di comunicazione del rapporto del bambino con il cibo. La poppata del neonato e la pappa, oltre a nutrire il bambino costituiscono cibo per il cuore. Le sensazioni tattili, gli odori, il calore del corpo, la stretta dell’abbraccio, lo sguardo, la voce e le parole della figura d’accudimento nutrono il cuore e rispondono alla domanda d’amore, al desiderio del bambino di “essere desiderato”, accolto, riconosciuto e rassicurato. Quindi, fin dall’inizio, la relazione del bambino piccolo, prima con la figura d’accudimento, poi con l’ambiente familiare è attraversata dal complesso intrecciarsi della dimensione affettiva con la funzione alimentare. Queste sono le ragioni per cui il cibo e il comportamento alimentare veicolano dinamiche complesse, i cui riflessi positivi o negativi si possono ripercuotere sia all’interno delle relazioni intrafamiliari, sia direttamente nel rapporto del bambino con il cibo.
Una nuova espressione di malessere
La connessione “cibo-affetto-messaggio” rende quindi ragione della possibilità che il malessere di un bambino possa anche esprimersi attraverso il suo comportamento alimentare. Il momento del pasto ha un’importante valore relazionale e affettivo, per questo può facilmente prestarsi a divenire il “luogo” per comunicare un disagio interiore, alla persona che si prende cura di lui. L’atto nutritivo può quindi diventare molto presto “teatro” di una protesta, di un comportamento oppositivo, cioè di una forma di comunicazione nella quale il vero messaggio è alienato e nascosto nel rapporto disfunzionale del piccolo con il cibo. Al posto del pianto, della parola, il bambino progressivamente sostituisce il rifiuto del cibo o la voracità, per esprimere le sue emozioni, il suo malessere e i suoi dubbi. I comportamenti alimentari dei bambini costituiscono quindi una sorta di comunicazione come il mondo adulto: il bambino sceglie il cibo come modalità per esprimere il proprio disagio interiore a cui è importante offrire ascolto. Ciò può avvenire in particolare quando il bambino, essendo ancora piccolo, non ha ancora strumenti sufficienti per usare la parola o quando le condizioni familiari non gli consentono di esprimere i suoi sentimenti. Il bambino può rifiutare il nutrimento per far capire alla mamma e al papà, magari eccessivamente preoccupati che il figlio non si nutra a sufficienza, che c’è qualcosa che non va. Compito del genitore è così quello di prestare ascolto ed attenzione a tali messaggi e se non ci si riesce da soli, chiedere aiuto ad uno specialista. Un genitore eccessivamente preoccupato solo della quantità di cibo che il bambino assume rischia di ridurre lo scambio nutritivo al semplice scambio di cibo materiale e fare così insorgere nel piccolo un dubbio sull’amore e sul riconoscimento di lui come una persona che esprime un bisogno e non solo un corpo da riempire. La comparsa di un disagio nel comportamento alimentare del bambino potrebbe ad esempio essere l’espressione transitoria di una difficoltà nell’affrontare un certo momento della crescita, ad esempio difficoltà nel separarsi dalla madre, o un evento che lo sta destabilizzando, come la nascita di un fratellino, o un ambiente familiare teso.
Dott.ssa Dominique D’Ambrosi – Psicologa Psicoterapeuta