La dipendenza da videogiochi: quando e come intervenire

Sono sempre più frequenti le mamme e i papà che lamentano l’abitudine costante e continua dei propri figli preadolescenti e adolescenti, di trascorrere gran parte della loro giornata davanti ad uno schermo giocando ai videogiochi! Questa attività sembra essersi maggiormente rinforzata con la chiusura delle scuole durante la pandemia, e la necessità di dover rimanere dentro casa ha fatto sì che sia bambini che ragazzi trascorressero un quantitativo oneroso di tempo attaccati a smartphone, tablet, tv e videogiochi, senza limiti di tempo e attività alternative.

Ma cos’è la dipendenza da gioco e quando si può parlare di dipendenza?

 

DEFINIZIONE

La dipendenza da videogame o “Gaming Disorder” è intesa come l’uso compulsivo dei videogiochi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO) ha inserito il Gaming Disorder, nell’undicesima edizione dell’International Classification of Diseases (ICD), la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, definendolo più specificatamente come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita” e inserendolo all’interno della sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze.

Per Gaming Disorder quindi si intende un modello di comportamento di gioco (gioco digitale o videogioco) persistente e ricorrente, caratterizzato da un mancato controllo sul gioco, una sempre maggiore priorità data ad esso rispetto ad altri interessi e attività quotidiane, e la continuazione o l’escalation del gaming nonostante il verificarsi di conseguenze negative in tutte le aree della propria vita. Affinché il disturbo da gioco possa essere diagnosticato infatti, il modello comportamentale deve essere di gravità sufficiente da provocare una compromissione significativa nel funzionamento della sfera personale, familiare, sociale, educazionale e lavorativa, e reiterarsi per un arco di tempo di almeno 12 mesi.

UN PO’ DI DATI…

Alcuni dati di una recente ricerca del 2018, svolta dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus, evidenziano come su un campione di 11.500 adolescenti, i maschi manifestino problematiche maggiori rispetto all’utilizzo dei videogame. Tra i 14 e i 19 anni, il 36% dei ragazzi gioca circa 1,5 ore al giorno mentre l’11% dalle 3 alle 6 ore quotidiane. Nella fascia 11-13 anni sembra essere maggiore l’abuso di tali dispositivi: il 50% gioca in media 1,5 ore al giorno, il 15% dalle 3 alle 6 ore e il 4% più di 7 ore. Il 44% di questi preadolescenti, inoltre, gioca connesso alla rete.

 

 

QUALI EFFETTI POSITIVI SUI BAMBINI?

L’uso in sé dei videogiochi tuttavia, non crea dipendenza. Un utilizzo ben controllato e non eccessivo del gioco può avere numerosi effetti positivi, tra cui lo sviluppo di alcune capacità come quella di prendere decisioni velocemente, di affrontare le difficoltà, di prendere iniziative e assumersi dei rischi, favorire l’apprendimento del lavoro di squadra, come nel caso dei giochi multi-player, l’allenamento alla perseveranza, la cooperazione e il rispetto di spazi, regole e tempi dell’altro, la gestione della frustrazione e dei fallimenti. Vengono inoltre stimolate le abilità manuali e percettive come la coordinazione oculomotoria, la comprensione dei compiti da svolgere, la capacità di gestire e raggiungere obiettivi, l’allenamento all’autocontrollo e alla gestione delle emozioni connesse all’esercizio di un compito. I giocatori acquisiscono infine apprendimenti specifici su alcune tematiche e conoscenze relative a terminologie tecniche e a modalità procedurali relative ad ambiti specifici a cui si riferiscono le competizioni giocate, migliorano la capacità di lettura, le competenze matematiche e di orientamento spazio-temporale attraverso ad esempio l’utilizzo di mappe di gioco.

QUALI SONO GLI EFFETTI NEGATIVI SUI BAMBINI?

Gli effetti negativi che il gioco eccessivo può avere sui bambini e sugli adolescenti sono diversi e possono essere di tipo fisico, come mal di testa, mal di schiena, disturbi visivi, sensazione di affaticamento o fatica nel fare le cose, cattiva igiene personale, o di tipo emotivo. Tra questi i bambini, ma anche gli adulti, possono ad esempio presentare maggiore irrequietezza e irritabilità quando sono impossibilitati a giocare, scoppi di ira e comportamenti violenti, senso di apatia e ritiro sociale, isolamento dagli altri per passare più tempo a giocare, disturbi d’ansia, della sfera del sonno e dell’alimentazione, caduta nelle prestazioni scolastiche e trascuratezza di aspetti vitali tipici dell’età evolutiva come la scuola, lo sport, le relazioni con i pari. Possono essere frequenti una costante rimuginio sul gioco con preoccupazione e pensieri su precedenti attività di gioco già svolte o su anticipazioni delle prossime sessioni online e la tendenza a mentire a familiari o ad amici per quanto concerne il periodo di tempo trascorso a giocare.

QUANDO C’E’ DA PREOCCUPARSI?

Il circuito della dipendenza non si innesca in modo improvviso ma si instaura gradualmente fino a strutturarsi solo dopo diverso tempo. Il disagio si manifesta quando si verifica un abuso dei giochi elettronici, quando l’utilizzo continuativo e sistematico prende il sopravvento, occupando gran parte della giornata e sostituendosi ad ogni attività quotidiana, condizionando i ragazzi da un punto di vista emotivo e comportamentale. Inoltre, non solo il numero di ore trascorse a giocare ma anche l’apprendimento indiretto, come vedere genitori che utilizzano tablet e smartphone, può rinforzare la condotta scorretta. Il gioco virtuale diventa un mezzo per evadere dalla quotidianità nei momenti di maggiori difficoltà e fragilità, per sperimentare sensazioni nuove, evitare il senso di incapacità o inutilità vissuto in altri contesti e in altre relazioni, in alcuni casi rappresentano dei sostituti di figure genitoriali sempre più assenti.

La presenza di uno o più indicatori sopra citati può essere dunque un segnale d’allarme rispetto al viraggio da parte del bambino o dell’adolescente verso la dipendenza, che è bene contrastare fin dagli esordi, chiedendo aiuto ad un professionista esperto in materia.

COSA PUÒ FARE UN GENITORE?

Quando un genitore nota un cambiamento nel comportamento del proprio figlio, riscontrando uno o diversi degli effetti sopra descritti, può rivolgersi ad un professionista al fine di poter comprendere meglio quello che sta avvenendo. Tuttavia, vi sono alcuni interventi psicoeducativi che i genitori possono mettere in atto fin da subito, evitando di restare passivi o indifferenti:

  • ridurre il tempo di gioco (massimo due ore al giorno ma non tutti i giorni);
  • introdurre giorni di astinenza totale dal gioco per evitare che diventi un’abitudine quotidiana;
  • evitare di giocare poco prima di dormire;
  • non permettere di consumare i pasti durante il gioco;
  • scandire una routine quotidiana;
  • proporre attività alternative quali film, passeggiate, lavoretti creativi, letture di libri;
  • insegnare loro a sfruttare al meglio le proprie capacità in multitasking;
  • non far perdere loro l’aderenza con la realtà;
  • porre regole chiare, limiti e confini ben definiti, se necessario ricorrere all’uso del parental control;
  • trascorrere maggior tempo con il bambino condividendo qualche attività di interesse comune o giocando insieme, scegliendo il videogioco ed evitando così che il bambino si isoli.
INTERVENTI TERAPEUTICI

Gli interventi terapeutici possono essere molteplici e vanno dalla terapia familiare, alla visita domiciliare, alla terapia cognitiva-comportamentale, all’intervento di rete con la scuola. Ogni approccio giunge attraverso strade diverse ad un obiettivo comune, la riduzione del sintomo e la comprensione dello stesso. L’eccessivo uso di videogiochi può essere letto come un sostituto di ciò che manca ed essere rappresentativo di difficoltà familiari o relazionali con i pari. Il gioco virtuale diventa modo per fuggire dalla realtà e per sentire di appartenere ad un contesto fatto di emozioni e condivisione mentre la cameretta rifugio dalle tensioni familiari. Attraverso la visita domiciliare, un professionista insieme ai genitori può ad esempio, entrare fisicamente ma anche simbolicamente nella stanza del bambino, lasciandosi guidare nel suo mondo al fine di porre un ponte tra reale e virtuale, interessandosi con curiosità al funzionamento del gioco, ad un linguaggio nuovo e ricercando le abilità acquisite dal proprio figlio. Un genitore può aiutare il proprio figlio provando a comprendere cosa significa quel gioco per lui, quali sono gli aspetti che rinforza, come lo fa sentire, può giocare insieme concordando regole e tempi e alimentando la condivisione, la vicinanza e intensificando la loro relazione, affinché il bambino possa cominciare ad approcciarsi al gioco con leggerezza e divertimento recuperando il proprio benessere personale.

 

Dott.ssa Deborah Feleppa- Psicologa Psicoterapeuta

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