La separazione, o il divorzio, è un’esperienza complessa che porta con sé una grande rivoluzione nella vita di coppia e familiare. E’ un processo che si estende nel tempo, che dipende dagli stadi di sviluppo individuali, dalla fase del ciclo di vita familiare in cui si verifica l’impatto dell’evento e dalla fase del processo di separazione in cui si colloca la famiglia. Se la separazione è un processo evolutivo che richiede una nuova negoziazione dei rapporti, ne consegue che gli effetti esercitati dalla disgregazione familiare non risalgono tanto alla separazione in sé, quanto alla riuscita del processo di riorganizzazione familiare. Alla base di tale processo vi è un forte stress emotivo legato all’elaborazione di un lutto: la fine di un matrimonio. Sarebbe bello se fosse sempre così, ma purtroppo l’esperienza della separazione è nella maggior parte dei casi, vissuta con sentimenti e dinamiche disfunzionali. Può infatti accadere che i coniugi non riescano più ad “incontrarsi” nel trovare la giusta comunicazione e comprensione tanto da entrare in un vortice di incomprensioni, insulti e ripicche che si autoalimenta rendendo questo momento impossibile da sopportare e fonte di grandissima sofferenza e frustrazione per tutti, anche, e soprattutto, per i figli.
In contesti del genere i figli diventano facilmente oggetto di contese e ricatti utilizzati come mezzi con cui colpire l’altro/a e in cui cercare alleanza e sostegno. E’ qui che si colloca una delle principali problematiche relazionale: la Sindrome da Alienazione Parentale.
Con l’espressione “alienazione parentale” ci si riferisce a quelle situazioni nelle quali è in atto un processo di rifiuto psicologico da parte di un figlio, di uno dei due genitori, per via dell’influenza dell’altro genitore. Si tratta di un meccanismo che tipicamente si verifica nel contesto di una separazione coniugale o di un divorzio, specialmente quando la conflittualità tra i due coniugi è molto accesa ed ha per oggetto la custodia dei figli.
Lo psichiatra Richard Gardner ha per primo osservato questa dinamica familiare definendola come una vera e propria “sindrome” che colpisce i figli di genitori separati/divorziati (PAS, Parental Alienation Syndrome). G. osserva come la PAS sia il risultato di una sorta di “lavaggio del cervello” dei figli da parte di uno dei due genitori (genitore alienante) nei confronti dell’altro genitore (genitore alienato) realizzato attraverso una campagna denigratoria fatta di astio, disprezzo e rabbia. Tale campagna denigratoria avrebbe come risultato l’insorgere di sentimenti di paura, ostilità, rabbia e diffidenza dei figli nei confronti del genitore “alienato” con la possibile conseguenza di una rottura più o meno definitiva della relazione parentale.
Per la diagnosi di una situazione di PAS è necessario escludere innanzitutto, reali abusi, violenze o comportamenti del genitore alienato nei confronti del bambino e osservare nel bambino sintomi caratteristici della sindrome che si manifestano in parte o insieme, a seconda del livello di gravità della stessa (A. Gardner, 2004).
Tali segnali sono:
- Il disprezzo e la rabbia di un figlio verso il genitore “alienato” non sono autentici ma “appresi”;
- L’utilizzo di un linguaggio prevalentemente “adulto”;
- L’illogicità con la quale il figlio spiega le ragioni del suo disprezzo (es. Odio papà perché non mi compra il cioccolato) ;
- La notevole differenza tra i sentimenti che il figlio prova per il genitore “alienante” (affetto, amore, ammirazione) e quelli che invece prova per il genitore “alienato” (odio, rabbia, disprezzo);
- L’attribuzione sistematica da parte del figlio di tutte le colpe e le responsabilità all’interno di qualsiasi conflitto al genitore “alienato”;
- La totale assenza di senso di colpa del figlio nei confronti delle espressioni di rabbia e odio manifestate verso il genitore alienato;
- L’estensione di tali sentimenti di disprezzo alla famiglia allargata del genitore rifiutato, alla sua eventuale nuova famiglia, ai suoi amici ecc.
Diversi sono i motivi che portano un genitore ad essere alienante: la vendetta, il rancore, l’insicurezza, il senso di potere e controllo, la ricerca di un alleato, la paura della perdita del legame col figlio, il voler cancellare delle colpe, ecc.
Ma la cosa che maggiormente preoccupa sono gli effetti che ovviamente si manifestano sui figli.
Secondo Garder, la Sindrome Da Alienazione Parentale rappresenterebbe una sorta di violenza psicologica estrema, capace di minare fortemente la costruzione di un’identità adulta nel bambino con il conseguente rischio di insorgenza di dinamiche psicopatologiche. La PAS inoltre impedirebbe ai figli un evolversi normale della loro capacità di provare empatia nei confronti degli altri e di provare rispetto per l’autorità. Il mondo interno di questi minori, si struttura, dal punto di vista emotivo, tramite una scissione. Tale meccanismo di difesa dà forma ad un mondo interno dei figli formato dal genitore buono (il genitore alienante), ed il genitore cattivo (il genitore alienato).
Tale sistema è il risultato di una manipolazione, per lo più, inconscia del genitore alienante, e del comportamento dei figli stessi, che percepiscono il genitore alienante come vittima e, in quanto tale, vogliono sostenerlo, assicurandosi di mantenere il legame che li unisce. Ciò alimenta nei figli forti sensi di colpa, paura di essere abbandonati e di perdita dell’amore del genitore alienante.
Talvolta i figli tendono ad uscire da tale ambivalenza con strategie auto-distruttive, auto-colpevolizzanti e auto-lesioniste.
Come prevede la nuova legge sull’affido condiviso, al centro della separazione dovrebbero esserci i figli: in sostanza, il principio che viene affermato è quello della bigenitorialità, intesa quale diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile non con uno, ma con entrambi i genitori, e ciò anche laddove la famiglia attraversi una fase critica, con conseguente disgregazione del legame sentimentale e talvolta anche giuridico tra i genitori conviventi.
Il compito dei coniugi che si stanno separando sarà dunque di creare un progetto di affidamento condiviso sui propri figli, dove padre e madre avranno eguali responsabilità, diritti e doveri.
In questo è determinante l’esistenza di una chiara consapevolezza circa l’esistenza di un doppio livello e di un doppio ruolo della coppia, il ruolo genitoriale e quello coniugale. Ognuno di questi ruoli implica diritti, doveri e responsabilità differenti. La responsabilità morale, psicologica ed educativa dei figli è e deve essere di entrambi i genitori. In questo senso il conflitto coniugale non può e non deve trasformarsi anche in conflitto genitoriale. Quando ciò accade è bene considerare l’intervento di figure di supporto esterne alla famiglia che possano agevolare una lettura, comprensione e modificazione di queste dinamiche disfunzionali.
E’ evidente che la strategia migliore per gestire situazioni come quelle appena descritte risiede in un intervento globale che abbia per oggetto le relazioni familiari più che la consultazione con un solo membro della famiglia: un buon dialogo, un aiuto psicologico e perché no, affrontare la separazione con un Mediatore familiare.
Dott.ssa Dominique D’Ambrosi